La Guerra Sporca
La guerra in corso tra Russia e Ucraina è odiosa, disumana, come tutte le guerre, non solo per la devastazione che porta, per l’inestimabile perdita di vite umane che produce, ma è anche una guerra che porta con sé la questione ambientale: un altro tema che ci racconta della indissolubile interrelazione di temi critici globali.
Mentre le immagini dell’informazione quotidiana ci lasciano concentrati sulle atrocità del conflitto, allo stesso tempo, questa sporca cosa che è la guerra, sta minando gli obiettivi di riduzione di emissioni di gas serra, facendoci rischiare di non restare allineati con i livelli di decarbonizzazione richiesti negli Accordi di Parigi (2015) per limitare il riscaldamento globale al di sotto dell’1,5 °C. La guerra, oltre ad essere scempio e ripugnanza, è anche un grande emettitore di gas serra nell’atmosfera: inquina e contribuisce al riscaldamento globale, che a sua volta provoca il cambiamento climatico i cui effetti sull’ambiente contribuiranno ad aggravare la già precaria situazione.
Il cambiamento climatico è un moltiplicatore di minacce, perché quando questa guerra sarà finita aggiungerà alle situazioni politiche, economiche e sociali legate ad essa, il suo peso pericoloso del peggioramento della crisi climatica. Le emissioni militari provengono principalmente dall’uso di carburante (cioè da fonte fossile) che serve a muovere i mezzi, ma provengono anche dalle esplosioni continue e dalle armi tradizionali, mentre l’uso di armi tossiche di cui in questi giorni si paventa l’uso, oltre ad avvelenare le persone avvelenano pure, aria, fiumi e terreno. Gli impatti negativi ambientali possono ulteriormente peggiorare se si pensa al dilemma che i governi dell’Europa, e del mondo, hanno di fronte: o un salto all’indietro al carbone, facendo slittare i target temporali di riduzione delle emissioni (l’obiettivo europeo al 2030 è di meno 55% circa) per dover fronteggiare la paura della carenza di combustibile (gas e petrolio), oppure velocizzare la transizione all’energia rinnovabile.
Non c’è dubbio che per le compagnie internazionali di gas e petrolio l’attuale situazione energetica che si profila a causa delle sanzioni economiche alla Russia presenta un’enorme opportunità di riposizionamento legato all’esorbitante aumento dei prezzi e allo spettro della riduzione delle scorte a medio, breve temine, dopo che l’Unione Europea ha annunciato le drastiche restrizioni nelle importazioni di petrolio e gas dalla Russia. Ora i governi, in particolare quello italiano che ha una dipendenza dal gas russo per più del 40%, hanno capito l’importanza di diversificare le rotte di approvvigionamento per non soggiacere al ricatto dalla dipendenza russa, e stanno cercando modi per proteggere la propria sicurezza energetica che passano per nuove intese commerciali con altri Paesi per le forniture, ma anche un’aumentata attenzione per gli investimenti nelle energie da fonti rinnovabili, e una maggiore efficienza energetica.
Speriamo, nelle settimane a venire, si sappia intercettare con chiarezza che oltre alla minaccia della democrazia che l’invasione di Putin comporta, c’è anche celata la minaccia climatica, come una ulteriore, interrelata crisi da gestire e non sottovalutare. A voler pensare male, come certi attivisti verdi suggeriscono, la guerra in Ucraina sta fornendo alle compagnie di petrolio e gas l’arma per portare avanti i propri interessi, allo scopo di incoraggiare decisioni altrimenti scomode per i governi, per aumentare investimenti nella produzione convenzionale con l’obiettivo ultimo di far crescere l’uso di combustibili fossili per gli anni a venire, con la scusa di una necessaria accelerazione della crescita economica in sofferenza per i due anni di pandemia prima, e ora per gli esorbitanti aumenti del costo delle materie prime e dei carburanti.
Non si può ricavare un bene mai da una guerra, la guerra è per definizione antiumana, prima di tutto. Quello che resterà quando si raggiungerà una tregua ed un trattato di pace, saranno macerie da ricostruire lungo il percorso prospettico e trasformativo, interrotto dolorosamente, che si basa sugli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU: quegli obiettivi sostenibili di sviluppo ad ampio spettro, sui quali nel 2015, 195 nazioni hanno concordato, sfidandosi a realizzare miglioramenti reali nelle vite delle persone e che oggi l’aberrazione della guerra in Europa sta solo ritardando e non impedendo.
Irene Sollazzo
freelance content creator
Pubblicato su Riformismoesolidarieta.it